Danni da esondazioni. Chi paga i danni subiti alle singole proprietà esclusive dei condomini?

I tristi eventi intercorsi in questi giorni ci portano ad approfondire un caso giurisprudenziale particolarmente attuale. Il fatto Un condominio nel lontano settembre del 1993 subisce gli effetti di un devastante allagamento, determinato dall’infiltrazione di acqua per l’innalzamento della falda acquifera, che provoca danni ai proprietari degli immobili del piano sotterraneo. Dopo tale evento l’amministratore condominiale, dando seguito a due assemblee straordinarie svoltesi dopo l’accaduto decide di interrompere il funzionamento delle pompe idrovore condominiali ritenute, a causa del loro cattivo stato, come causa dell’allagamento. Durante una successiva assemblea condominiale, svoltasi nel mese di ottobre dello stesso anno, i condomini decidono di acquistare due nuove pompe idrovore, che in caso di necessità, avrebbero evitato in caso di allagamenti danni ben più ingenti. Tali pompe, tuttavia, non furono mai acquistate. Dopo altre assemblee condominiali che non dimostrarono alcuna volontà della compagine condominiale di prendere coscienza di quanto era accaduto, alcuni condomini decidono di proporre ricorso ex art. 700 cpc. Nel corso del procedimento cautelare che seguì la consulenza tecnico d’ufficio disposta dal giudice accertò che l’allagamento subito dall’immobile in questione era riconducibile ad un innalzamento della falda freatica e per questo il giudice ordinava al condominio di eseguire i lavori suggeriti dalla ctu che avrebbero come funzione quella di evitare in futuro nuovi allagamenti. Tali lavori, tuttavia,non furono mai eseguiti. Le questioni affrontate nei tre gradi di giudizio. I tre condomini che avevano subito danni decisero, quindi, di riassumere la causa e, delusi per la noncuranza con la quale la questione era stata affrontata, citano in giudizio il condominio ed il suo amministratore chiedendo: il risarcimento dei danni subiti, a causa delle esondazioni delle falde acquifere, dagli immobili collocati al secondo piano sottostante all’edificio condominiale; la conferma del provvedimento cautelare appena citato; l’accertamento della responsabilità dell’amministratore condominiale per la mancata esecuzione delle delibere assembleari che avevano deciso l’acquisto delle idrovore e per la mancata adozione di mezzi idonei a reprimere o quantomeno a contenere in futuro nuove infiltrazioni di acqua ed allagamenti dei piani sotterranei. Il giudizio di primo grado si conclude con l’accoglimento delle richieste formulate dai condomini danneggiati dall’allagamento e con la condanna del condominio all’intero risarcimento dei danni senza alcuna possibilità per quest’ultimo di essere manlevato dalle assicurazioni chiamate in giudizio. Il condominio propone appello nei confronti della sentenza di primo grado e l’appello si conclude con un totale, e quasi inspiegabile, ribaltamento della decisione del giudice di primo grado e quindi con l’esclusione di qualsiasi responsabilità del condominio per l’accaduto. Ma i condomini non demordono e decidono di ricorrere in Cassazione sostenendo l’assoluta carenza di motivazione della sentenza d’appello. La motivazione posta alla base della sentenza di appello si fondava sul fatto che,...

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Chi utilizza ammoniaca e candeggina rischia una condanna penale per il disagio provocato alla vicina di casa

Molestati i condomini con emissioni di gas e vapori tossici per utilizzo, in maniera eccessiva, di ammoniaca e candeggina. Il fatto. Il Tribunale di Padova condannava l’imputata ad una ammenda, oltre che al risarcimento del danno, per il reato di cui all’art. 674 cod. pen., perché usava per la pulizia degli spazi condominiali ad uso pubblico in maniera eccessiva, ammoniaca e candeggina, in quantità abnorme, molestando condomini ed estranei con emissioni di gas e vapori tossici. Avverso tale sentenza l’imputato propone atto d’impugnazione deducendo che la vicina di casa aveva una soglia di tollerabilità delle emissioni ben inferiore rispetto a quella dell’uomo comune; quanto alla pena, invece, non si sarebbe tenuto conto della saltuarietà dell’uso di detergenti. Da non perdere: Schiava delle pulizie condominiali. Condannata pensionata che puliva le scale condominiali con candeggina Condotta molesta. Nel caso di specie, secondo la Suprema Corte vi è la sussistenza del reato di “getto pericoloso di cose“, per tali motivi tutte le obiezioni mosse dalla condomina sotto accusa sono accolte dalla Cassazione che conferma, con sentenza 7 ottobre 2014, n. 41726, la condanna fissata in Tribunale. Decisiva per la decisione è il non solo il quadro probatorio, fondato sulle dichiarazioni di diverse persone – che hanno confermato la persistenza di “odori forti, lacrimazione e problemi respiratori” – ma anche una serie di accertamenti fotografici relativi alla strana coloritura del pavimento, dovuta all’uso di detergenti chimici. Inoltre, la condomina, dedita all’impiego di candeggina e ammoniaca, ha perseverato nella condotta molesta, pur conoscendo il disagio lamentato dalla vicina di casa, costretta a subire emissioni per nulla gradevoli. Il reato di getto pericoloso di cose. Il reato disciplina, come bene giuridico protetto, l’ incolumità pubblica intesa quale incolumità di più persone o anche di singoli individui. La fattispecie non richiede il verificarsi di un effettivo nocumento alle persone essendo sufficiente il realizzarsi di una situazione di pericolo di offesa al bene (Cass., 22.12.2005, n. 46846). Il reato non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma è un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una species del più ampio genus costituito dal “gettare” o “versare” cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone (Cass. 13.7.2011, n. 37495). Un precedente. La Corte di Cassazione, con una precedente sentenza n. 39197 del 23/09/2013, ha stabilito che l’uso di determinati detersivi, viene considerato pari a qualsiasi altro atto o atteggiamento che risulti molesto e se viene compiuto a tale scopo integra gli estremi della condotta prevista dall’art. 660 del codice penale[molestia o disturbo alle persone] . Perché si configuri il reato in parola, pertanto, è sufficiente (ma necessario) utilizzare per le pulizie degli spazi comuni (o pertinenziali a...

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Sì al danno morale per la perdita dell’animale da affezione. Condannato al risarcimento dei danni il vicino «pistolero»

La condotta tenuta integra il reato ex articolo 544 ter Cod.pen. Quando il vicino decide di farsi giustizia da sé. Purtroppo capita anche di avere vicini di casa che posseggono armi (o affini) nonostante evidenti disturbi psicologici: diversamente non potrebbe definirsi chi, sostenendo di essere infastidito dal comportamento di un povero gatto, decide di spararlo con un fucile ad aria compressa. Ciò è quanto avvenuto nel milanese dove un improvvisato pistolero si è appunto reso responsabile di tale ignobile gesto: egli ha infatti sparato a due gatti del vicino, ferendoli così gravemente da provocarne la morte di uno di essi, nonostante i soccorsi e le pur lunghe e costose cure cui entrambi sono stati sottoposti. Da un punto di vista giuridico il comportamento dell’insano vicino di casa rientra nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 544 ter, comma 3, cod. pen. (Maltrattamento di animali seguito da morte), reato punito fino ad oltre 2 anni di carcere. A tale pena si somma poi il risarcimento dei danni che ne derivano. Danni sì, ma di che tipo? Lo chiarisce il Tribunale di Milano che con una recentissima sentenza (sent. del 01/07/2014) in maniera molto precisa ne indica la natura ed il limite quantitativo entro cui essi siano risarcibili. Risarcibilità dei danni per la scomparsa di Fido o Fufi. Ove un animale perisca per un fatto costituente reato spetterà ai suoi proprietari il risarcimento dei danni morali (o non patrimoniali) patiti a seguito della condotta delittuosa: è il caso del danno morale cd. “da perdita dell’animale da affezione”. Tale danno morale, dunque, è risarcibile esclusivamente quando il fatto costituisce reato, come ammoniscono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 26972/2008). È pur vero che sempre più Tribunali, discostandosi dai principi enunciati dal Giudice di Legittimità, riconoscono il risarcimento di tale voce di danno indipendentemente dal risvolto penale che il fatto può avere (Trib. Torino, 29/10/2012, Trib. Firenze, 14/06/2013). Nel caso in esame, tuttavia, non è importante tale distinzione e nessun dubbio sussiste in ordine alla risarcibilità del danno morale derivante dalla perdita subita dalla proprietaria del felino abbattuto dal vicino: questi, sparando al gatto perché infastidito dal comportamento della povera bestiola, ha come detto commesso il reato di cui all’art. 544 ter comma 3 cod. pen. e pertanto è pacifica la risarcibilità del danno non patrimoniale (ovvero morale) che da tale fatto-reato è derivato. Così come pacifica è la sussistenza di tale danno morale: esso è rappresentato innanzitutto dalla sofferenza psichica patita dalla proprietaria per la morte del proprio animale da affezione, col quale aveva “creato un lungo rapporto di affetto” (Trib. Milano, cit.), nonché dall’ansia per la sorte dell’altra gattina colpita “sopravvissuta a seguito di lunghe e...

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Il cane abbaia giorno e notte? Condannato al risarcimento danni il condomino.

Se il continuo abbaiare di un cane, custodito nell’appartamento condominiale, supera la normale soglia di tollerabilità, ed il condomino non si attiva per risolvere tale situazione, lo stesso è obbligato al risarcimento dei danni patiti da uno dei condomini. Il caso. I fatti di causa giunti all’esame del Giudice Unico del Tribunale di Lucca si sviluppano in due distinti giudizi instaurati il primo dinanzi al Giudice di pace ed il secondo dinanzi al Tribunale di Lucca. Nel primo giudizio la proprietaria di un immobile aveva citato la condomina del piano sottostante, chiedendo al giudice di pace una sentenza di condanna per la cessazione delle immissioni rumorose provocate dal continuo abbaiare di un cane di proprietà della convenuta. Il Giudice di pace dopo aver rilevato che l’abbaiare del cane superava la normale soglia di tollerabilità, e che il regolamento condominiale vietava ai condomini di custodire nei locali di proprietà animali che potessero causare molestia agli altri condomini, aveva ordinato alla convenuta di adottare accorgimenti che avrebbero potuto risolvere la questione. (Top: Detenzione di animali in condominio: il cane morde l’ospite.) Tale sentenza di condanna, tuttavia, non ha prodotto gli effetti sperati tanto che gli attori del giudizio appena citato sono stati costretti a subire per ben tre anni a stessa situazione, fino al punto che l’incessante abbaiare del cane durante tutte le ore del giorno e della notte aveva determinato nell’attrice un disturbo psichico post-traumatico accertato da consulenza tecnica di parte che aveva provocato l’insorgenza di ansia, depressione che costituivano danno biologico causato da disturbi di natura psichica. In ragione della circostanza venutasi a creare, a fronte delle conseguenze determinate dalla continua sopportazione di tali immissioni rumorose, gli attori decidono di chiamare in giudizio la proprietaria dell’appartamento condominiale affinché il Tribunale accerti l’esistenza del danno patito dagli attori al fine di emettere una sentenza di condanna nei confronti della convenuta. Si costituiva la convenuta che eccepiva la carenza di legittimazione passiva sostenendo che il cane in questione non fosse di sua proprietà, e che pertanto nessuna efficacia nei suoi confronti poteva produrre neanche la sentenza emessa in precedenza dal Giudice di pace che l’aveva condannata ad adottare le misure idonee per evitare che il continuo abbaiare del suo cane potesse turbare la quiete degli altri condomini. Danni alla integrità psico-fisica. Il Giudice ha dichiarato fondata la domanda presentata da parte attrice, constatando che la sentenza del Giudice di Pace aveva già accertato che le immissioni rumorose determinate dal continuo abbaiare del cane superavano la normale soglia di tollerabilità, e considerando che tale sentenza era divenuta irrevocabile: tale circostanza, e cioè quella dell’intollerabilità delle immissioni rumorose, non poteva più essere posta in discussione. Per quanto riguarda invece la domanda di...

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